INAIL – Autoliquidazione premi 2019/2020
L’INAIL ha pubblicato il 13.01.2020 le prime indicazioni operative relative all’autoliquidazione 2019/2020, riferite in particolare alle riduzioni contributive spettanti, le scadenza previste e gli adempimenti a carico dei datori di lavoro. Questi in sintesi gli elementi più rilevanti: scadenza versamento del premio da autoliquidazione in un’unica soluzione o della prima rata, entro lunedì 17 febbraio 2020 (codice 902020 in F24); versamento in un’unica soluzione dei contributi associativi entro lunedì 17 febbraio 2020; presentazione on-line della comunicazione motivata di riduzione delle retribuzioni presunte per la rata 2020, entro lunedì 17 febbraio 2020; scadenza presentazione dichiarazione delle retribuzioni lunedì 2 marzo 2020; tasso d’interesse annuale applicabile in caso di versamento in 4 rate trimestrali (16/02 – 16/05 – 16/08 – 16/11) pari allo 0,93%; addizionale fondo vittime amianto non dovuta né sul premio in regolazione né sulla rata; riduzione premio imprese artigiane 7,38% solo sulla regolazione 2019 (codice 127 nelle basi di calcolo).
Viene infine confermato che dall’1.01.2019, non si applicano più le seguenti riduzioni: – L.147/2013, a seguito dell’entrata in vigore della riforma delle tariffe dei premi; – Sgravio edili.
Lavoro a chiamata ed efficacia della clausola del CCNL che ne vieta espressamente l’utilizzo
Recentemente la Corte di Cassazione (Sentenza n. 29423/2019) esaminando la disciplina del rapporto intermittente di cui all’art. 13 d.lgs. n. 81/2015, ha affermato che la norma non riconosce esplicitamente alcun potere di interdizione da parte della contrattazione collettiva in ordine alla possibilità di utilizzo di tale tipologia contrattuale. Viceversa, l’orientamento mantenuto nel tempo dal Ministero del lavoro (parere prot. n.18194 del 4.10.2016 e interpello n. 37 del 1 settembre 2008) conferma che le parti sociali possono legittimamente vietare il ricorso al contratto a chiamata. Nell’ottica del Ministero, pertanto, qualora vi fosse una clausola del CCNL che vieti il ricorso al contratto di lavoro intermittente, si prospettavano due effetti: – da un lato, secondo il Ministero, il divieto ad opera della contrattazione collettiva esclude la possibilità di ricorrere al contratto a chiamata per le attività elencate nella tabella allegata al RD 2657/23 (attività discontinue). In tal caso il contratto a chiamata risulterebbe illegittimo in quanto privo dei requisiti richiesti. Ciò comporterebbe la sua conversione in rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato; –-dall’altro, rimarrebbe comunque possibile ricorrere al contratto a chiamata per le ipotesi soggettive previste dalla norma (soggetti con meno di 24 anni di età, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il 25° anno, e con più di 55 anni). Si evidenzia pertanto, alla luce di questi due orientamenti, un vero e proprio contrasto interpretativo tra la giurisprudenza della Suprema Corte e la prassi del Ministero del Lavoro sulla portata di tutte quelle clausole contrattuali che espressamente vietano l’utilizzo del contratto a chiamata. Tale contrasto interpretativo non riguarda i contratti collettivi (la maggior parte) che nulla prevedono in relazione al contratto di lavoro a chiamata. Si ritiene pertanto, che in presenza di contratti collettivi che non ne vietano il ricorso ma più semplicemente non ne prevedono la regolamentazione, il lavoro intermittente può essere introdotto anche per le attività di cui alla tabella allegata al Regio Decreto n.2657/23, oltre che nelle ipotesi soggettive, sempre ammesse.
Trasferta e trasfertismo: chiarimenti di INPS sul corretto regime contributivo
A più di tre anni di distanza dall’interpretazione autentica fornita dal legislatore in materia di determinazione del reddito di lavoratori in trasferta e trasfertisti, l’INPS con la circolare n. 158 del 23 dicembre 2019 ha fornito alle proprie strutture i relativi chiarimenti sul corretto regime contributivo, allo scopo di definire il contenzioso pendente in sede amministrativa e giudiziaria. L’Istituto, alla luce dei principi di diritto affermati dalla Corte di Cassazione, conferma che la sussistenza della fattispecie di trasfertismo potrà essere affermata se sono coesistenti i seguenti tre requisiti previsti e disciplinati dal legislatore: -mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro; -svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente; -corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di un’indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa, attribuite senza distinguere se si è effettivamente recato in trasferta e dove la stessa si è svolta.
Al contrario, ogni qual volta la concreta fattispecie manchi anche solo di una delle condizioni sopra riportate, troverà applicazione la disciplina in tema di trasferta. Nella prima ipotesi (trasfertismo) il trattamento contributivo e fiscali delle somme corrisposte sarà quello previsto dall’art. 51 comma 6 del DPR n. 917/1987; nella seconda ipotesi (trasferta), si ricade nel concetto di trasferta il cui trattamento fiscale e contributivo è declinato dal comma 5 dello stesso articolo.
Welfare – amministratori senza compenso; trattamenti estetici; rimborso corsi di lingua straniera
Con una risposta a interpello pubblicata recentemente sul proprio portale, l’Agenzia delle entrate ha fornito importanti indicazioni in ordine alle condizioni richieste affinché i benefici compresi in un piano di welfare aziendale possano non concorrere a formare il reddito per dipendenti e amministratori. Gli aspetti analizzati riguardano: – le politiche di welfare a favore di amministratori senza spettanza di un compenso in denaro, nei confronti dei quali, a parere dell’Agenzia delle Entrate, il compenso sotto forma di welfare assolve una funzione remunerativa e deve pertanto concorrere a formare il relativo reddito imponibile; – la messa a disposizione di trattamenti estetici presso centri specializzati il cui valore, non assumendo valenza di assistenza sociale, deve concorrere a formare il reddito; – il rimborso di corsi di lingua a favore dei figli dei dipendenti che, anche quando svolti fuori da percorsi scolastici in senso stretto, possono rientrare nelle previsioni di esclusione da imposizione, poiché comunque riconducibili a finalità educative e di istruzione.
Certificazione Unica – lavoro autonomo estero: tipo di prelievo alla fonte
L’Agenzia delle Entrate con la risposta n. 512/E dell’11/12/2019 ha fornito chiarimenti in merito al trattamento fiscale dei compensi di un lavoratore autonomo spettanti per un’attività svolta in Italia in un periodo d’imposta in cui il contribuente era anche fiscalmente residente, ma percepiti in un successivo periodo di imposta quando egli non è più fiscalmente residente in Italia.
L’Agenzia delle Entrate ha sottolineato che per definire quale ritenuta applicare occorre dare rilevanza alla residenza fiscale del contribuente nel momento in cui il reddito deve essere tassato, e questo anche al fine della corretta applicazione del principio indicato nell’art. 14 (professioni indipendenti) della Convenzione internazionale contro le doppie imposizioni tra Italia e Paese di residenza (Spagna), la quale indica, quale regola generale, la tassazione esclusiva nello Stato di residenza del professionista per i redditi di lavoro autonomo ivi prodotti e, quale eccezione, la tassazione concorrente o doppia tassazione sia nello Stato di residenza che in quello della fonte del reddito, qualora in tale Stato il professionista svolga la sua attività in presenza di una “base fissa”. Posto, quindi, che le modalità di determinazione e tassazione del reddito di lavoro autonomo seguono il “principio di cassa”, nell’ipotesi di prestazioni fatturate in un periodo di imposta precedente a quello di incasso, il relativo importo concorre a formare reddito di lavoro autonomo nel periodo di effettivo incasso. Ne consegue che i compensi relativi a prestazioni di lavoro autonomo effettuate nel 2018 ma percepiti nel 2019, vanno tassati in tale periodo imposta. Concludendo, poiché i compensi sono tassabili nel 2019 quando il professionista non è più residente ai fini della normativa fiscale italiana, l’Italia conserva la propria potestà impositiva in base all’art. 14 della sopra menzionata Convenzione. Il professionista, pertanto, è assoggettato alla doppia tassazione sia in Spagna (Paese di residenza) sia in Italia (Paese della fonte del reddito), dove trova applicazione la ritenuta a titolo d’imposta del 30%.
Certificazione Unica – lavoratore autonomo forfetario: diritto d’autore
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 517/E del 12/12/2019, ha precisato che i compensi derivanti dalla cessione del diritto d’autore, quali redditi di lavoro autonomo assimilati, concorrono alla verifica del requisito di accesso al regime forfettario, ossia al limite di 65.000 euro, solo se correlati con l’attività di lavoro autonomo svolta. Tale correlazione è ritenuta sussistente se gli stessi non sarebbero stati conseguiti in assenza dello svolgimento dell’attività di lavoro autonomo (esempio: artisti e giornalisti), mentre la correlazione non riguarderebbe quelle professioni rispetto alle quali il relativo ordinamento professionale non contempli tra le attività che possono essere svolte dal professionista quelle assoggettabili alla normativa sui diritti d’autore. Ai fini della tassazione, i compensi a titolo di diritto d’autore percepiti in vigenza di regime forfetario, qualora effettivamente correlati con l’attività di lavoro autonomo svolta, sono tassati in tale ambito.
I sostituti d’imposta eroganti tali compensi non dovranno effettuare alcuna ritenuta d’acconto sui compensi corrisposti a professionisti forfetari, ove riferibili a diritti d’autore effettivamente correlati con l’attività di lavoro autonomo. Ai fini di tale esclusione, i sostituti devono acquisire dal professionista un’espressa dichiarazione che i compensi percepiti per diritti d’autore sono correlati all’attività autonoma esercitata in regime forfetario.
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